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La croce delle croci

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme

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In questi giorni la Chiesa ci invita a ripensare all’ultima settimana di vita di Gesù Cristo. Un periodo iniziato con una parata trionfale e terminato con la condanna a morte più dura e infamante: la croce.

I vangeli non lesinano i particolari più crudi e atroci. Ben conosciamo le violenze e le torture fisiche a cui fu sottoposto. Ma non dobbiamo dimenticare i dolori più nascosti e subdoli: quelli psicologici (l’angoscia e la paura), quelli interiori (il tradimento, l’incomprensione, la fuga dei suoi amici) e quelli spirituali (i dubbi su di sé, l’impressione di essere abbandonato da Dio). Anche il demonio gli aveva dato appuntamento agli ultimi suoi giorni.

Gesù non arretrò davanti alla sofferenza più grande. Affrontò l’estrema prova della vita con coraggio, dignità e sincerità. Davvero si caricò del peso del peccato del mondo, continuando ad amare. L’ultimo miracolo fu per un persecutore, il servo del sommo sacerdote. La verità di fronte al Sinedrio gli costò la condanna: era lui il Cristo, il Figlio di Dio. Non reagì a ingiurie e percosse, ma raccolse le proprie energie spirituali per promettere al buon ladrone il paradiso e – secondo il Vangelo di Luca – scusare coloro che lo crocifiggevano. “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 43).

Il crocifisso è il simbolo cristiano per eccellenza. Alle nostre croci sembra dire: “So cosa vuol dire, ho provato anch’io”. Ma anche: “Coraggio, anche il dolore più immenso è passeggero”. 

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