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Chi accoglie voi accoglie me

Commento al Vangelo di domenica 2 luglio

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Mt 10, 37-42

Cosa significa accogliere il Signore? Certamente concedergli di essere se stesso; riconoscere la nostra distanza e differenza da Lui; provare a vedere le cose dal suo punto di vista, scoprendo che quello è quello che rende più bella, più giusta e vera l’umanità.

Già, perché Cristo ci assicura che nessun gesto di accoglienza “perderà la sua ricompensa”, neanche un semplice bicchier d’acqua. Come prima lettura ci narra della generosa ospitalità di una donna nei confronti del profeta Eliseo, che sarà premiata dalla nascita di un figlio.

Nel tempo in cui vengono redatte le altre letture di questa domenica (la lettera ai Romani, il Vangelo di Matteo), i discepoli devono affrontare ostacoli e persecuzioni; sono un piccolo gruppo di credenti, tenuti insieme da una fragile rete di conoscenze, e si trovano a volte isolati e divisi dalle loro famiglie di origine.

Sì, c’è una croce pesante da portare, anche quando è soltanto metaforica rispetto a quella di Cristo; sì, padre o madre, figlio o figlia possono non condividere le loro scelte e seguire un’altra strada; sì, a qualcuno la fedeltà alla fede richiederà persino la vita. Ma non si devono scoraggiare: anzi, sappiamo di essere benedetti perché chi li accoglie è come se accogliesse Gesù in persona.

In questo secolo i cristiani forse saranno chiamati a essere di nuovo un “piccolo gregge”, incompreso, snobbato o persino perseguitato. Anche in queste condizioni dovranno tornare ad accogliere il Signore e la realtà per quello che sono. Con la fiducia che “Cristo, risorto dai morti, non muore più” (San Paolo). E noi con Lui.

 

  

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