Mt 10, 37-42
Cosa significa accogliere il Signore? Certamente concedergli di essere se stesso; riconoscere la nostra distanza e differenza da Lui; provare a vedere le cose dal suo punto di vista, scoprendo che quello è quello che rende più bella, più giusta e vera lâumanità .
Già , perché Cristo ci assicura che nessun gesto di accoglienza âperderà la sua ricompensaâ, neanche un semplice bicchier dâacqua. Come prima lettura ci narra della generosa ospitalità di una donna nei confronti del profeta Eliseo, che sarà premiata dalla nascita di un figlio.
Nel tempo in cui vengono redatte le altre letture di questa domenica (la lettera ai Romani, il Vangelo di Matteo), i discepoli devono affrontare ostacoli e persecuzioni; sono un piccolo gruppo di credenti, tenuti insieme da una fragile rete di conoscenze, e si trovano a volte isolati e divisi dalle loro famiglie di origine.
Sì, câè una croce pesante da portare, anche quando è soltanto metaforica rispetto a quella di Cristo; sì, padre o madre, figlio o figlia possono non condividere le loro scelte e seguire unâaltra strada; sì, a qualcuno la fedeltà alla fede richiederà persino la vita. Ma non si devono scoraggiare: anzi, sappiamo di essere benedetti perché chi li accoglie è come se accogliesse Gesù in persona.
In questo secolo i cristiani forse saranno chiamati a essere di nuovo un âpiccolo greggeâ, incompreso, snobbato o persino perseguitato. Anche in queste condizioni dovranno tornare ad accogliere il Signore e la realtà per quello che sono. Con la fiducia che âCristo, risorto dai morti, non muore piùâ (San Paolo). E noi con Lui.