Dopo i lupi, i giganti: quando le piazze si svuotano e i profitti prendono l’aereo

Una riflessione tra satira ed elaborazione grafica di Nicola Tamburrino (sottoilcielo)

redazione
03/11/2025
Territorio
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Finite le Feste di Settembre, Piazza Plebiscito è tornata al silenzio.
I lupi (finti) del fotomontaggio sono scomparsi, ma al loro posto ne sono arrivati altri, più veri e affamati: i giganti dell’economia globale.

Non hanno zanne né ululati, ma bilanci, loghi e sedi legali all’estero.
E mentre i branchi digitali spaventavano per gioco, questi mangiano davvero: territori, imprese, abitudini, indipendenza.
In fondo, anche l’economia sa ululare. Solo che lo fa in inglese.

Da Val di Sangro all’America

Stellantis investe miliardi negli Stati Uniti.
Un segnale di potenza industriale, certo, ma anche un segnale d’allarme per chi vive e lavora in Val di Sangro.
Perché lì, in quell’angolo d’Abruzzo dove la fabbrica ha costruito un destino collettivo, ogni decisione presa a Detroit o a Parigi può cambiare la vita di migliaia di famiglie.

La fabbrica non è solo un capannone.
È la mensa che prepara i pasti per gli operai, l’autista che accompagna i turnisti, il piccolo meccanico che ripara un camion, il bar che serve i caffè alle cinque del mattino.
È l’indotto, la catena invisibile che tiene insieme un intero territorio.

Per anni, la Val di Sangro è stata un modello di equilibrio: lavoro, reddito, dignità.
Oggi, però, quell’equilibrio vacilla.
Quando un colosso decide di spostare il baricentro degli investimenti altrove, tutto l’indotto trema.
E non è solo una questione di economia: è una questione di appartenenza.
Perché se il futuro si decide a migliaia di chilometri di distanza, quanto resta davvero nostro?

L’Abruzzo del “quasi”

Siamo un territorio che produce eccellenze ma vive di incertezze.
Abbiamo le mani di chi sa fare e la voce di chi non viene ascoltato.
Ogni volta che si parla di sviluppo, arrivano promesse, piani industriali, convegni. Poi passa qualche mese e restano solo i comunicati stampa.
È l’Abruzzo del “quasi”: quasi ricco, quasi moderno, quasi protagonista.

Intanto i giovani partono, e i pochi che restano devono accontentarsi di turni flessibili e prospettive rigide.
Le famiglie si reggono sull’incertezza come su un ponte sospeso.
E in questo scenario, il legame con una multinazionale diventa un atto di fede: lavorare sperando che non decida, un giorno, di spostarsi altrove.

I supermercati del vuoto

Nel frattempo, mentre guardavamo la fabbrica, i supermercati hanno colonizzato ogni angolo.
Hanno luci più forti, scaffali infiniti e un reparto “offerte” che sembra una sirena ammaliatrice.
Entriamo convinti di risparmiare, usciamo con la sensazione di aver perso qualcosa di più grande: il rapporto umano.

Le botteghe di una volta avevano il profumo del pane e del dialogo.
Lì, i soldi restavano nel paese, giravano tra chi produceva, vendeva e comprava nello stesso raggio di dieci chilometri.
Con le multinazionali, invece, il denaro prende l’autostrada e non torna più.
I profitti finiscono nei paradisi fiscali o nei bilanci di holding con nomi impronunciabili.

Ci hanno insegnato a misurare il progresso in metri quadri e in corsie.
Ma ogni nuovo centro commerciale è una piazza in meno, un negozio in meno, un volto in meno che ti saluta per nome.
E allora sì, i supermercati sono il vero volto del vuoto: ordinati, luminosi, impersonali.

I veri lupi

Il paradosso è che parliamo tanto dei lupi (quelli veri o digitali), ma ignoriamo i predatori che da anni rosicchiano la carne viva dei territori.
Non arrivano di notte, ma ogni mattina con un contratto nuovo da firmare, un’offerta “imperdibile”, un piano industriale scritto altrove.
Sono i lupi del mercato globale, che si nutrono di abitudini locali.
Non fanno paura perché sono silenziosi. E perché ci hanno convinti che non esiste alternativa.

Ma un territorio che rinuncia alla propria autonomia economica è come una piazza senza voci: può essere pulita, ordinata, perfino bella, ma è morta.
E quando le comunità si spengono, nessuna festa basta più a riaccenderle.

La piazza e il mondo

Lanciano, la Val di Sangro, l’Abruzzo intero: sono un unico grande laboratorio del cambiamento italiano.
C’è chi resiste con le proprie mani — piccoli artigiani, botteghe, produttori locali — e chi osserva con amarezza i giganti crescere.
Ma la domanda resta la stessa di un mese fa, quando i lupi attraversavano la piazza virtuale:
quanto resta vivo un luogo quando la festa finisce?

La risposta non è nei bilanci, ma nei gesti quotidiani.
Comprare un pane locale, scegliere un artigiano, difendere un servizio pubblico non è nostalgia: è politica concreta, è futuro.
Perché i territori non muoiono per mancanza di turisti, ma per mancanza di abitanti.

Conclusione

La sfida, oggi, è non confondere la modernità con la dipendenza.
Un’economia sana è quella che cresce senza dimenticare da dove parte.
E l’Abruzzo, con le sue valli e le sue piazze, ha ancora tutto per essere vivo: serve solo la volontà di tornare protagonisti.

Perché le feste passano, le immagini virali si spengono, ma il vuoto resta.
E se non impariamo a riempirlo con scelte nostre — locali, consapevoli, coraggiose — lo faranno i lupi.
Quelli veri. Quelli invisibili. Quelli che non hanno bisogno di Photoshop per entrare nelle piazze.

Il Sognatore lento

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