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La gita della domenica: l'Abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia

Redazione
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La nostra “Gita della domenica” oggi vuole portarvi a conoscere una delle Abbazie più belle d’Abruzzo, ossia l’Abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia. Essa sorge sul Promontorio di Venere, luogo di incantevole bellezza da dove è possibile mirare l’intera costa dei Trabocchi.

Il territorio circostante, per la sua conformazione e posizione strategica, sin dall’antichità ebbe una grande importanza, testimoniata dai numerosi reperti archeologici recuperati nella zona a seguito delle campagne di scavo avutesi nella zona.

L’abbazia presenta un’eccellente conservazione medievale, caratterizzata dalla fusione di stili e forme provenienti da aree molto lontane fra loro (l’impianto è benedettino con elementi cistercensi e decorazioni tipiche dell’area tirrenica) ed un rapporto con il contesto quasi completamente privo di interventi da parte dell’uomo, caratterizzato da campi coltivati ed in particolare di ulivi, fra cui uno centenario, ubicato proprio al di sotto della balconata.

Le fonti narrano che prima dell’edificazione dell’Abbazia ivi sorgesse un tempio dedicato a Venere Conciliatrice (patrona dei naviganti e quindi collegata alle località costiere), al quale viene fatta risalire la costruzione di un primo insediamento e del porto, dedicato a Venere.

Con la realizzazione del monastero benedettino, invece, iniziarono a sorgere le fabbriche in particolare quella delle ceramiche, sorsero le saline, i mulini, le scuole e soprattutto sorse Rocca San Giovanni, borgo fortificato all'interno del quale abati e monaci trovavano riparo durante numerose invasioni.

Secondo la tradizione il tempio dedicato alla dea Venere, su cui oggi sorge l'abbazia, venne costruito da un mercante romano in seguito ad un voto fatto durante una tempesta in mare e proprio in prossimità di questo tempio ebbe vita il piccolo nucleo abitato, Vicus Veneris di cui oggi sono riscontrabili alcune tracce nel territorio di Fossacesia sul fiume Sangro ed il porto (portum Veneris). A conferma della presenza del tempio dedicato a Venere conciliatrice lo storico Pollidoro cita due iscrizioni, la prima incisa su un'ara marmorea e la seconda su una tavola votiva in marmo ritrovata tra i ruderi (oggi entrambe scomparse): -VENERI CONCILIATRICI -QUINTILLAE L.PISCAURI F. C. HERUTII PRISCI CONIUGIS DONUM VENERI.

Recenti scavi archeologici effettuati nella zona nord all'esterno del chiostro hanno riportato alla luce cinque basamenti attribuibili proprio al tempio romano che, dai quali si è ipotizzato che il tempio pianta longitudinale e che fosse preceduto da una scalinata.

Molte furono le fasi e le vicende storiche che attraversarono la nostra Abbazia nel corso dei secoli fino ai giorni nostri.

Durante l’epoca bizantina il territorio venne caratterizzato dalla presenza del castrum bizantino, così come hanno testimoniato alcuni scavi archeologici che portarono alla luce varie tombe nella zona a nord del portale principale. All’epoca, infatti, i bizantini controllavano l’intera costa chietina da Vasto a Pescara allo scopo di usufruire dei porti come rapido collegamento con Ravenna. Il castrum, situato su un alto promontorio, infatti, svolgeva sia una funzione difensiva, sia di controllo nei confronti del porto alla foce del Sangro.

Con l’avvento del cristianesimo il tempio di Venere venne sostituito da una chiesa dedicata alla Vergine Maria e San Giovanni Battista, di cui fa probabilmente parte un’imponente struttura absidata portata alla luce durante alcuni scavi tra il 1998 e il 1999 e situata nella zona ovest del complesso. Sull'origine della chiesa sono state sviluppate due tesi: secondo la prima, ritenuta verosimile, la chiesa venne costruita dal monaco Martino ed in seguito donata a san a san Benedetto, come attestano il necrologio dell'abbazia (XI sec. oggi nella biblioteca della congregazione) ed un diploma di Carlo Magno (789); la seconda invece, ritenuta falsa, dichiara che la chiesa sorse per volere di San Benedetto a seguito di una donazione da parte di Terullo (padre di Placido) nel VI sec.

 Nell'829 l'abbazia passò alle dipendenze del monastero di Farfa (monastero benedettino cassinese nella provincia di Rieti), come riporta un diploma di Ludovico il Pio e Lotario. Successivamente passò sotto il dominio dei Longobardi, dai quali ricevette numerose donazioni. Fra i maggiori donatori ricordiamo Trasmondo I, conte di Chieti, che nel 973 donò all’abbazia terreni fruttiferi dal vico di Venere al fiume Sangro, metà dei profitti del porto di Venere e tutta la selva con la tenuta seminativa tra Annio e Molaria: Altra donazione fu  quella di Trasmondo II, al quale dobbiamo la ricostruzione della chiesa e la costruzione ex novo del monastero (2 chiostri, dormitori, celle, due scuole, biblioteca, cimitero e luoghi per l'insegnamento delle varie arti) affidato da lui ai benedettini, tra cui scelse Arnulfo come primo abate. Con il passare degli anni il monastero venne ampliato e fortificato dall'abate Oderisio I, il quale istituì due scuole nelle quali si insegnavano diverse materie teoriche e mestieri, fortificò le mura del monastero a causa dell'entrata dei normanni in Abruzzo (1060) e costruì, nel 1076, Rocca San Giovanni per fornire protezione a monaci ed abitanti della zona.

La fase di maggiore espansione dell'abbazia culminò alla fine del XII secolo, ovvero durante il governo dell'abate Oderisio II (1155-1204), definito “Magnus Oderisius”, al quale si deve la ricostruzione di gran parte del monastero e la costruzione della chiesa visibile tutt'ora. In questa fase il numero dei monaci presenti salì a circa 60, venne ampliata Rocca San Giovanni, vennero costruite delle saline sul fiume Sangro e una fabbrica di ceramiche. Il monastero inoltre poteva vantare un gran numero di terreni e vassalli. Nel XIII secolo i possedimenti dell’abbazia raggiunsero un raggio talmente ampio da renderne impossibile la gestione e molti vennero dati in enfiteusi, riducendo sempre di più le proprietà terriere a diretto controllo dell'abbazia. Iniziò così il periodo di decadenza dell’abbazia, aggravato dagli scontri tra l’imperatore Federico II e il papa Gregorio IX e le continue incursioni che si protrassero tra il XIII ed il XV secolo, tra le quali ricordiamo quelle perpetrate da Veneziani (1240), Lancianesi (1346), Frate Monreale (1352) e Conte Lando (1355), Ugone Orsini (1381) e conte di Carrara (1421).

In seguito a questo periodo di progressivo impoverimento il Papa Eugenio IV decise di dare l'abbazia in commenda nel 1441. Con il passare degli anni l'abbazia, ormai privata di gran parte dei suoi beni sia a causa degli abati commendatari, sia dei baroni delle terre vicine, continuò a perdere importanza, fino a restare disabitata nel corso del XV secolo.

Nel 1585 l'abate commendatario Navarro rinunciò alla sua carica e l'abbazia venne ceduta in perpetuo alla congregazione di San Filippo Neri dal Papa Sisto V. La congregazione, portata subito di fronte a gravi disordini sul territorio e allo stato di abbandono della struttura fu più volte sul punto di rinunciare alla gestione dell'abbazia, fino a quando, nel 1609, venne affidata ai Gesuiti di Atri, i quali però la riconsegnarono nelle loro mani nel 1617. Seguirono anni di forti tensioni con i vescovi di Chieti e Teramo, culminati nella decisione della congregazione di concedere ai due la giurisdizione ecclesiastica su parte dei feudi dell'abbazia. Questa decisione diede inizio ad un nuovo periodo di decadenza acuito da varie incursioni, disordini interni e due importanti eventi sismici che provocarono ingenti danni sia alla struttura dell'abbazia che alle terre limitrofe. Gli ultimi anni di gestione dell'abbazia da parte degli Oratoriani furono segnati da varie liti, le più importante delle quali, con il notaio di Rocca San Giovanni Domenico Coccia (1755) ed il dott. Donato Marotta (1779), culminarono nella reintegra dell'abbazia al Regio Patronato, avvenuta il 24 Gennaio 1784 tramite una Sentenza della Consulta di Stato. Nonostante la sentenza la congregazione riuscì a mantenere la gestione dei territori in enfiteusi (dal 1815 con l’ascesa di Ferdinando IV). Nel 1873, dopo la soppressione della Congregazione della Vallicella del 1871, l'abbazia ed i suoi beni passarono al Demanio di Stato ed otto anni dopo venne dichiarato monumento nazionale. I rapporti tra la Congregazione e San Giovanni in Venere tuttavia continuarono fino al 1954, anno in cui gli Oratoriani dichiararono di rinunciare a tutti i diritti sull'abbazia, la cui gestione venne affidata ai padri Passionisti, i quali iniziarono nel 1956 la ricostruzione di parte dell'antico convento contro il parere della Soprintendenza.

Chi di voi domani deciderà di andare a fare una passeggiata a Fossacesia per far visita a questa Abbazia che, come abbiamo visto, è così ricca di storia, si troverà di fronte ad un monumento imponente che staglia i colori della sua pietra sull’azzurro del mare e del cielo e sul verde del prato e degli ulivi.

L’abbazia attualmente ha pianta longitudinale, a tre navate con altrettante absidi, presbiterio rialzato e scale nelle navate laterali come accesso alla cripta. L'impianto della chiesa oggi visibile sembra riferito al XII secolo, quindi corrispondente alle opere compiute dall'abate Oderisio II (in carica dal 1155 al 1204). L'orientamento è a sud-est, in modo da permettere alla luce di illuminare il presbiterio all'alba del solstizio d'inverno attraverso la porta del sole e al tramonto del solstizio d'estate dalla porta della luna.

L'interno presenta 12 massicci pilastri, diversi per dimensioni e decorazioni. Analizzando l'alzato dell'edificio si riscontrano varie difformità costruttive, prima delle quali la presenza di tre differenti basi. Al di sopra dei pilastri nella navata centrale troviamo un'alternanza di archi a tutto sesto e a sesto acuto. Su questi capitelli (per la maggior parte di stile borgognone) e su altri impostati su mensole nelle navate laterali, si delinea la forma di archi che lascia ipotizzare che anticamente vi fosse una copertura voltata, oggi presente solo sul presbiterio, presenti anche nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Lanciano (XII-XIII).

Scendendo nella cripta attraverso le scalinate situate lungo le navate laterali, si giunge in un ambiente ad oratorio che occupa l'intera superficie del presbiterio. La cripta presenta un largo uso del materiale di spoglio proveniente dall'antico tempio dedicato a Venere Conciliatrice, riscontrabile ad esempio nei fusti delle 4 colonne centrali in marmo e semicolonne addossate alle pareti. Le colonne di spoglio presentano basi pressoché uguali, mentre si differenziano molto i capitelli, sia per ragioni pratiche che per l'appartenenza ad epoche diverse. Le absidi sono decorate con affreschi duecenteschi sia nelle calotte che in parte nelle pareti perimetrali, come evidenziato dai recenti restauri. Sul lato nord della cripta è situato un tempietto funebre in tufo giallo scuro risalente al XIV sec sotto il quale sono state rinvenute tracce di affreschi che probabilmente in origine coprivano anche le pareti perimetrali.

Da uno dei portali laterali della chiesa si accede al chiostro, un tempo circondato sui tre lati dall'antico monastero, oggi quasi completamente perduto. Lo spazio si articola in una galleria di 10 trifore sui lati ovest e nord e 9 sul lato est, coperta da capriate lignee e costituita, quasi nella sua totalità, da ricostruzioni novecentesche. Gli unici elementi originali (alcuni non completi) presenti nel chiostro sono quattro trifore situate nel lato est. Percorrendo l'intera galleria del chiostro fino ad una stretta porta sul lato ovest, si giunge all'ingresso del locale sotto il sagrato, un ambiente situato alla stessa altezza della cripta, con la quale condivide varie caratteristiche stilistiche e l'utilizzo di materiale di spoglio. A seguito dei restauri del '68-'69 l'intero ambiente, ad eccezione degli archi, è stato intonacato. Le uniche fonti di luce sono quattro monofore fortemente strombate situate sulla parete ovest. Dalla stanza principale si accede a due stretti ambienti secondari coperti da volta a botte e collegati direttamente con l'esterno tramite due porte vetrate. Secondo Gavini la stanza prevedeva un passaggio verso il monastero, mentre secondo Romanelli (1819) si tratta di un antico porticato con sorgente sulfurea utilizzata dagli oracoli e chiuso in seguito ai problemi statici riportati dalla facciata. La facciata dell'abbazia, ultimata dall'abate Rainaldo nella decorazione scultorea tra il 1225 e il 1230, si presenta suddivisa in due parti: quella inferiore costituita in pietre squadrate e probabilmente riferibile agli interventi della seconda metà del XII secolo ed una superiore in mattoni dovuta a rifacimenti successivi. Nella parte bassa, a sinistra del portale troviamo il monumento funerario dell'abate Oderisio II con sarcofago in marmo cipollino recante un'iscrizione che, insieme a quella collocata all'interno della lunetta del portale sul chiostro, confermano la costruzione dell'intera struttura ad opera dello stesso abate. Al centro della facciata troviamo il portale principale, definito Porta della Luna e suddiviso in due fasce. La fascia superiore, più semplice, è composta da una cornice bicroma che forma al centro uno spazio trilobato e ai lati due torri cuspidate. La fascia inferiore è composta invece da un portale rettangolare delimitato da una colonna e due paraste decorate ed affiancato da due rettangoli in pietra con bassorilievi. Al di sopra delle paraste troviamo un architrave privo di decorazioni sormontato da una lunetta a sesto rialzato con cornice in 3 ordini, di cui la parte esterna decorata con motivi fitomorfi. L'interno della lunetta presenta una suddivisione in due parti, di cui quella superiore decorata con bassorilievi raffiguranti Cristo al centro affiancato da due santi (Giovanni e Benedetto) e quella inferiore con la Vergine Maria e San Giovanni posto all'interno di una finestrella centinata attorno alla quale è possibile vedere i segni di una grata. Ai lati del grande portale si aprono due monofore a tutto sesto trilobate e con strombo mentre al centro, nella parte più alta, troviamo una bifora con colonna e capitello borgognone che raccorda due archetti trilobati. Il coronamento della facciata è costituito da una cornice ad arcatine con fiori, croci e stelle visibile anche sulla parete nord e sulle absidi.

Verso est, sulla vallata che si affaccia sul Golfo di Venere, troviamo le absidi, definite Porta del sole. Il prospetto presenta tre diversi apparecchi murari: il primo corrispondente allo spazio della cripta è composto da materiali sottili e irregolari alternati ad altri squadrati, con la presenza di elementi di recupero in marmo e legati da malta compatta; il secondo invece, corrispondente alla parte superiore dell'abside e parte del lato ovest, da massi regolarmente squadrati con malta sottile; il terzo del XVII sec, situato sul timpano, è invece in mattoni. L'impianto decorativo è composto da una fascia inferiore con arcate cieche a sesto acuto nell'abside sinistro (probabilmente dovuto a ricostruzioni successive) e a tutto sesto in quello centrale e destro; al di sopra delle arcate troviamo dei medaglioni con decorazioni geometriche bicrome a stella tipiche delle coste tirreniche (ad esempio Salerno o i Duomo di Monreale), mancanti nell'abside sinistro. Tra la zona inferiore e superiore si pone una fascia decorata con motivi geometrici e sormontata da una sottile cornice aggettante. A differenza della fascia appena descritta, assimilabile ad opere normanne, la parte superiore risulta quasi priva di decorazioni, ad esclusione di archetti pensili e dentelli sotto la cornice. Il coronamento è invece costituito da una decorazione borgognona con archetti ciechi su mensole, presente anche nel prospetto nord ed in facciata. Numerose decorazioni sono inoltre presenti nell'intradosso delle monofore centrali trilobate con colonnine tortili in marmo bianco e capitelli borgognoni.

A San Giovanni in Venere è legata la tradizione di “Cummar e cumbar a fjur”, un’antica usanza che si celebrava proprio nel giorno di San Giovanni Battista, quindi il 24 giugno. Il cerimoniale andava a celebrare l’affetto, la stima e l’amicizia che si provavano nei confronti di un’altra persona per creare legami di comparatico, consacrando al Santo rapporti che diventavano forse superiori all’essere fratelli o sorelle. La tradizione narra che questo cerimoniale avvenisse proprio all’interno della cripta dell’Abbazia, dove ci si recava con la persona con cui si avvertiva un legame particolare per renderla “Compare a Fiore” (“Lu Cumbare a Fiur’”). Quindi, al futuro “compare” o alla futura “commara” veniva donato (fatto consegnare, generalmente, da ragazzi) un mazzo di fiori di campo “Lu Ramajette”, confezionato con altri doni.

Se nel giorno della vostra gita avete voglia di percorrere a piedi la strada che dall’Abbazia di San Giovanni in Venere, avrete modo di visitare dapprima la Vetrina del Gusto, luogo (aperto su prenotazione) adibito dal Comune di Fossacesia a spazio di promozione dei prodotti delle aziende territorio e man mano di giungere a quel che resta dell’antica Fonte di Venere di origine romana, dove un tempo le donne andavano a bagnare i propri seni come gesto propiziatorio per l’allattamento. Attualmente la fonte è oggetto di finanziamento ottenuto dalla Giunta Comunale Di Giuseppantonio per il restauro.

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